La sig.ra Ivana Petraglio, responsabile dell’Area di gestione sanitaria del Canton Ticino, è giunta alla soglia della pensione.
La sig.ra Ivana Petraglio, responsabile dell’Area di gestione sanitaria del Canton Ticino, è giunta alla soglia della pensione. Nei suoi quarantasette anni di attività, ha vissuto da protagonista anche i principali cambiamenti e le evoluzioni dell’intero sistema preospedaliero del Canton Ticino. In questa intervista vogliamo raccontare l’entusiasmo e la passione che l’hanno accompagnata in un lungo arco di tempo e che ne hanno delineato la personalità.
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Signora Petraglio, anche il primo giorno di lavoro non si scorda mai, vero?
Certo, è stato un battesimo molto particolare e traumatico. Era il 2 novembre del 1976: appena entrata in ufficio, sono sprofondata nell’acqua. L’ufficio era situato in un appartamento in piazza Governo ed erano cedute le tubature del piano superiore. Ero sola in ufficio, il mio collega era in congedo militare. Sul pavimento c’erano cumuli di dossier completamente inzuppati. Ho passato quindi il primo mese della mia attività a fare fotocopie del materiale compromesso. Devo dire però che così facendo, sfruttando la mia innata curiosità, mi sono letta decine di pagine, imparando moltissimo fin dall’inizio. Come si dice, dalle crisi nascono opportunità…
Tra poco si conclude il suo mandato di Capoarea di gestione sanitaria del DSS. È il momento dei bilanci.
Il ruolo di Capoarea riguarda gli ultimi 11 anni della mia vita lavorativa, iniziata presso l’Amministrazione cantonale come ispettrice degli ospedali. In questo quasi mezzo secolo ho avuto la fortuna di lavorare in svariati campi sempre legati al servizio pubblico e di incontrare persone che hanno poi avuto un ruolo fondamentale nella mia vita. Ne cito solo due: Gianfranco Domenighetti, storico capo dell’allora sezione sanitaria al quale devo tutto quello che so e che sono diventata professionalmente, e Padre Callisto Caldelari, grande figura di intellettuale religioso illuminato, al quale devo la mia naturale propensione ai bisogni dell’altro, la mia flessibilità progettuale e il bisogno di ricercare ad ogni costo delle soluzioni per ogni problema. Di conseguenza il mio bilancio è ricco e positivo. Devo però riconoscere che il ruolo di capo è quello che più mi ha messo a dura prova: proietto le mie modalità di lavoro sugli altri e questo può aver causato anche sofferenza e incomprensione. Per contro, non c’è stata mattina che non mi sia alzata piena di entusiasmo e di voglia di lavorare, interpretando ogni giorno come un nuovo inizio.
Durante il suo percorso professionale, quali cambiamenti ha potuto osservare nei servizi ambulanza del Cantone? E quali trasformazioni potrebbe immaginare per il futuro di questo settore?
Ho avuto la fortuna di occuparmi dei servizi autoambulanze a ridosso dell’approvazione della nuova Legge avvenuta a giugno 2001 e di partecipare alla stesura del Regolamento di applicazione che ne ha permesso l’entrata in vigore il 1° gennaio 2003. Questi cambiamenti legislativi facevano parte di una serie di modifiche ad ampio raggio in tutti i settori sussidiati dal Cantone per permettere l’implementazione di nuove modalità di finanziamento che prevedevano la sottoscrizione di contratti di prestazione e lo stanziamento di contributi globali per il finanziamento della gestione corrente. I cambiamenti organizzativi nel settore del soccorso preospedaliero a partire dagli anni ‘80 sono stati numerosi: in particolare la creazione della FCTSA - Federazione Cantonale Ticinese dei Servizi Autoambulanza (1977), la nascita della Centrale d’Allarme 144 (1995), la riduzione dei comprensori da undici a cinque, la professionalizzazione degli equipaggi di soccorso (grazie alle linee guida emanate dall’Interassociazione di salvataggio). E tutto ciò ha posto le basi per un cambiamento anche a livello amministrativo. Grazie a un importante lavoro di concerto condotto con la FCTSA, si è adottato un piano contabile unico, sono state stabilite delle regole uniformi per la formazione delle équipe d’intervento, per la gestione dei veicoli di soccorso e così via, permettendo una distribuzione equa del contributo cantonale fra i vari comprensori. Resta molta strada da fare, come ad esempio l’adozione di equipaggiamenti dei veicoli e del personale standardizzati, come pure la centralizzazione di servizi amministrativi quali la fatturazione, la contabilità stipendi... Anche le discussioni in atto relative alla nuova ripartizione degli oneri tra Cantone e Comuni prevedono un riassetto del servizio di soccorso preospedaliero, con un ruolo di responsabilità accresciuto per la Federazione.
Ritiene possibile ulteriori fusioni tra i cinque servizi di soccorso preospedaliero esistenti, nonostante le forti vocazioni identitarie dei singoli Enti?
Una certa concentrazione, a fronte di risorse umane e finanziarie in diminuzione, sarà inevitabile. Questo non significherebbe sopprimere le sedi dei vari comprensori che, per la specifica natura del servizio e per il concetto di prossimità, devono essere assolutamente mantenute, ma ritengo che sia giunto il momento di riflettere su un diverso modello organizzativo che comporti la messa in comune di alcune figure e di alcuni servizi, nonché la condivisione di principi di fondo riguardanti le dotazioni tecniche, l’assetto informatico, gli acquisti, ecc. .
In caso d’ntervento con ambulanza, la LAMal riconosce al paziente solo la metà delle spese sostenute. Cosa si può fare a livello legislativo per cambiare una situazione così gravosa per molti cittadini?
La definizione delle prestazioni a carico dell’assicurazione malattia è una questione molto complessa. Anche la persona affetta da una malattia genetica rara che potrebbe migliorare con la somministrazione di un medicamento non omologato in Svizzera potrebbe rivendicare gli stessi diritti. Il problema è un altro. Il costo di un intervento con autoambulanza è legato a quello della prontezza del servizio. In altre parole i servizi autoambulanza costano anche quando non sono operativi, ma devono essere perfettamente attrezzati per consentire l’intervento di una o anche due o più ambulanze contemporaneamente, in ogni momento. È in questa direzione che devono essere indirizzati i ragionamenti e non tanto sull’eventualità di porre a carico dell’assicurazione malattia l’intero costo dell’intervento. Solo per contestualizzare la portata del problema rilevo che l’intera gestione dei servizi di soccorso, calcolata a costi standard, ammonta a circa 45 milioni di franchi annui, ciò significa 130.- franchi annui per abitante: una soluzione potrebbe essere trovata, nell’interesse di tutte le parti coinvolte.
Sappiamo che le risorse non sono infinite. Quali sono i criteri utilizzati per valutare e prendere decisioni in merito all’allocazione dei finanziamenti?
Posso parlare per i miei ambiti di competenza. Innanzitutto si dispone di una cifra di preventivo quale credito attribuito dal Gran Consiglio per la gestione nel mio caso delle prestazioni erogate dagli ospedali nel e fuori Cantone, dal servizio ambulanze, nel settore delle tossicomanie, per l’assistentato in studio medico privato e per assicurare le condotte di montagna. Già al momento della stesura del preventivo, l’atteggiamento deve essere improntato al massimo rigore. La mia filosofia è sempre stata quella di richiedere quello che poi sarei stata in grado di dimostrare come necessario. In questi ultimi anni siamo stati chiamati e richiamati a rivedere a più riprese le proposte iniziali, ma devo ammettere che il “mio” centro di costo ha sempre goduto di grande considerazione e rispetto ed è uno dei settori meno toccati dalla crisi finanziaria, pur rappresentando, con oltre 400 milioni di spesa, il 10% del budget del Cantone. Con l’obiettivo dell’importo di preventivo da rispettare si conducono le trattative con i vari attori, a volte con dei veri e propri scontri. Ricordo anche di essere stata minacciata, dicendomi di avere la valigia sempre pronta per essere curata fuori Cantone o di aver diritto a un pacemaker di legno… ma alla fine il rispetto ha sempre prevalso e la soluzione è sempre stata trovata. Questo è uno degli aspetti di cui vado molto fiera. Le mie relazioni con i partner non sono mai superficiali, vanno sempre oltre, ci tengo a conoscere bene i miei interlocutori e ad avere con loro un rapporto schietto. Ho stretto delle amicizie importanti, anche con gli assicuratori, con i colleghi oltre Gottardo, legami veri e profondi che la mia partenza non inficerà.
La pandemia da Covid-19, una sua riflessione su questa sfida senza precedenti. Abbiamo veramente imparato qualcosa?
La pandemia ha segnato per me un prima e un dopo e nel “durante” ho sperimentato una solidarietà tra i vari attori impensabile fino a quel momento. Ricordo il clima di incertezza assoluta riguardo alla gravità della malattia e alla sua propagazione. Il nostro Cantone ha dovuto fare da apripista, non c’erano esempi, se non quelli italiani, a cui fare riferimento. Si oscillava tra la catastrofe annunciata e la minimizzazione. Eppure, ce l’abbiamo fatta. Ho perso il conto delle decisioni riguardanti l’assetto dei letti ospedalieri, la sospensione e/o il trasferimento di mandati, gli spostamenti di personale, l’allestimento dei centri per effettuare i test, la macchina impressionante dei centri di vaccinazione. Ho constatato la capacità di lavorare di concerto dei vari comparti, la sanità con la protezione civile e l’esercito, le finanze con le assicurazioni sociali, l’ospedale pubblico con la clinica privata, i medici e i farmacisti del territorio con le scuole e la popolazione. Non dimentico l’enorme e indescrivibile lavoro organizzato e assicurato dai servizi di soccorso preospedalieri e dalla Federazione ambulanze: senza di loro non avremmo superato la prova. Come ricordo personale emerge il clima surreale nel quale ho lavorato, il silenzio degli uffici vuoti, le strade deserte, i pasti saltati per i ristoranti chiusi, ma soprattutto i legami che si sono rafforzati con i superiori, con i colleghi e con gli addetti ai lavori, alla ricerca di soluzioni immediate ed efficaci. Non so se abbiamo imparato qualcosa, forse a vivere più intensamente i legami con le persone che amiamo perché possono sparire dall’oggi al domani.
Considerando i conti in rosso degli ospedali e la carenza di infermieri e medici in Ticino e in Svizzera, intravvede nuove strategie per rendere più attrattive queste professioni?
Grazie al cielo il problema dei conti in rosso negli ospedali del nostro Cantone non è ancora così grave, i costi supplementari sostenuti nel periodo pandemico sono stati in buona parte riconosciuti e le perdite riassorbite. Il sistema ospedaliero è perfettibile, ma è ben strutturato anche se risente della necessità di trovare il giusto equilibrio tra concentrazione e prossimità. La mancanza di personale curante è invece strutturale, sono professioni impegnative che richiedono inclinazione al sacrificio, vi è la riscoperta del tempo libero, della famiglia, della qualità di vita, difficile trovare degli antidoti a queste forze centrifughe del tutto positive. Le istituzioni si stanno muovendo, rafforzando gli incentivi sia finanziari, sia nelle condizioni generali di lavoro, aumentando le capacità formative e, soprattutto, favorendo il rientro nella professione (e mi riferisco al personale curante) delle persone che l’hanno abbandonata per dedicarsi alla famiglia e ai figli. La professione di infermieri ha infatti una durata media di una quindicina d’anni e se solo si riuscisse a portarla a venti, gran parte dei problemi potrebbero essere risolti.
Molti cittadini non riescono a comprendere il costante aumento dei premi di cassa malati, proviamo a spiegarglielo.
Dobbiamo premettere che l’assicurazione malattia introdotta nel 1996, con la definizione di un premio unico indipendente dal sesso, dall’età (nelle tre fasce 0-18 / 19-25 / 26+) e dallo stato di salute, perseguiva obiettivi di solidarietà, prevedendo anche un sistema di riduzione del premio per le persone meno abbienti. I premi devono coprire i costi generati dalle cure in regime di degenza (ospedali, cliniche, case per anziani, reparti acuti a minore intensità e di cure acute e transitorie) e in regime ambulatoriale (ambulatori ospedalieri, studi medici, fisioterapisti, ergoterapisti, laboratori, medicamenti, cure a domicilio). Da un lato i costi aumentano perché la popolazione invecchia, vive più a lungo e soffre di molti malanni concomitanti. Inoltre le persone malate vogliono risposte e soprattutto vogliono guarire, quindi non ci si accontenta del parere del medico di famiglia, si ricorre allo specialista e se non basta un consulto se ne richiede un altro e ci si reca anche fuori Cantone: la scelta non manca, tant’è che difficilmente si deve attendere per ottenere un appuntamento. Le malattie croniche sono in aumento. Si tratta di un ampio gruppo di malattie, che comprende le cardiopatie, l’ictus, il cancro, il diabete e le malattie respiratorie croniche. Ci sono poi anche le malattie mentali, i disturbi muscolo-scheletrici e dell’apparato gastrointestinale, i difetti della vista e dell’udito, le malattie genetiche. Dal canto loro le persone sane scelgono franchigie alte e gli assicuratori, che per questi assicurati incassano un premio inferiore, si vedono privati di un’importante fonte d’entrata che in altri tempi serviva appunto per il finanziamento trasversale tra sano e malato. Il progresso della tecnologia medica e le possibilità di diagnosi e di trattamento fortemente ampliate concorrono all’aumento dei costi, così come la pratica di una medicina difensiva che vuole mettersi al riparo da diagnosi errate e dalle conseguenti possibili richieste di risarcimento. Come affrontare tutto questo? Francamente non ho risposte, ho visto i vertici istituzionali combattere il sistema, proporre incentivi e disincentivi, suggerire forme assicurative alternative, la cassa malati unica, il premio proporzionale al reddito, incolpare l’inquinamento, i ritmi di lavoro e il comportamento individuale… È un po’ come Don Chisciotte e i mulini a vento. Forse il sistema deve implodere per trovare delle convergenze ad esempio su forme assicurative per le malattie croniche scorporate dalla LAMal, più affini alle forme di previdenza che conosciamo. Non dimentichiamo che la prevenzione assume un ruolo fondamentale: un comportamento rispettoso del nostro corpo, delle buone abitudini di vita, unite a una politica che abbia a cuore l’ambiente (inteso in senso lato), possono fare molto.
Sanità pubblica e sanità privata: ci sono differenze per il cittadino in termini di accesso, qualità delle cure e costi?
Ogni volta che sento questa considerazione penso a una storia che mi raccontò una persona già direttore di Pro Juventute. Un bambino di colore, adottato, porta a casa la fotografia della sua classe d’asilo (tutti bambini bianchi) e chiede alla mamma di provare a vedere se riesce a individuarlo tra gli altri… Ma queste differenze tra sanità pubblica e privata esistono? Ci sono vari livelli. Per quanto riguarda la cura, a mio modo di vedere, la modifica dell’assicurazione malattia entrata in vigore il 1° gennaio 2012 ha posto sullo stesso piano ospedali pubblici e cliniche private. A parità di prestazione offerta, la preparazione, la qualità e la sicurezza sono garantite nei due ambiti. Il cittadino comune segue il medico, è il professionista che fa la differenza, non lo statuto dell’istituto. Il costo della cura, nettamente più elevato nel settore pubblico, è influenzato da altri fattori, come la dimensione della struttura, il tipo di organizzazione, il livello di formazione offerto, il grado di prontezza assicurato nei servizi d’urgenza e l’esercizio di mandati specialistici particolarmente onerosi. La differenza percepita dal cittadino a mio modo di vedere riguarda invece altri aspetti, per lo più “alberghieri”.
Quali vantaggi porterà alla sanità cantonale l’avvento dell’Ospedale universitario (non costruito ma “diffuso” sul territorio)?
La possibilità di avere degli istituti che dispensano formazione in ambito universitario è un’opportunità da cogliere per incrementare la potenziale attrattiva dei nosocomi ticinesi nei confronti del resto della Svizzera. Dove c’è un’università c’è gioventù, c’è fermento, c’è ricerca, c’è sperimentazione e innovazione. E tutto questo può attirare nuove fonti di finanziamento.
Nella sua lunga permanenza nell’Amministrazione cantonale ha visto passare numerosi Consiglieri di Stato. Se potesse scegliere un aggettivo per descrivere ciascuna delle loro personalità, quale sarebbe?
Ho avuto la fortuna di lavorare con ben sei Consiglieri di Stato, il primo, l’on. Benito Bernasconi al mio ingresso nell’Amministrazione cantonale, il secondo Rossano Bervini e il terzo Pietro Martinelli li ho incontrati durante il periodo in cui sono partita per riprendere gli studi e ho lavorato all’OTAF di Sorengo e a Comunità familiare. Patrizia Pesenti, Paolo Beltraminelli e Raffaele De Rosa hanno invece scandito il mio ultimo quarto di secolo al Dipartimento della sanità e della socialità. Sarebbe presuntuoso da parte mia affermare che ho lavorato accanto a queste persone, ho aiutato nell’istruzione dei vari incarti i loro responsabili diretti nel rispetto delle gerarchie amministrative. Di tutti e sei serbo dei ricordi nitidi e precisi, la ricerca dell’aggettivo appropriato per ognuno di loro sarebbe in ogni caso legata al mio saper essere e saper fare di quel periodo. Tutti e sei, con i loro segretari di concetto, coordinatori dipartimentali, capi sezione e capi ufficio mi hanno arricchito di conoscenza, di consapevolezza, di capacità relazionali e di entusiasmo per i nuovi progetti, mitigando gli inevitabili momenti di sconforto dettati dalla necessità di mediare sempre tra le soluzioni migliori e quelle politicamente realizzabili.
C’è un dossier particolarmente delicato che lascia in eredità al suo successore?
Sicuramente la pianificazione ospedaliera che entrerà nel vivo nelle prossime settimane. La prima fase riguarda le decisioni del Gran Consiglio sugli indirizzi strategici, dopo di che prenderà avvio la seconda fase con la procedura di messa a concorso dei mandati, seguita dalla loro attribuzione ai vari istituti. La negoziazione dei contratti di prestazione in un periodo di crisi per le finanze cantonali, è un altro aspetto delicato. Anche alcune modifiche legislative in atto a livello nazionale, come il finanziamento uniforme delle prestazioni dispensate in regime di degenza e ambulatoriale o gli innumerevoli atti volti a limitare la crescita incontrollata dei costi sanitari impegneranno il mio successore al quale auguro grandi soddisfazioni.
A breve la meritata pensione. Come immagina il suo futuro e come pensa di vivere il suo “nuovo tempo”?
Sono curiosa di vedere cosa mi riserba il futuro. In parte mi sono premunita acquistando qualche anno fa una piccola casa in Val Morobbia con 4000 metri di terreno. Mi piace mantenermi attiva e ho la passione del giardinaggio: curerò la mia vigna e gli alberi da frutto. Vorrei anche realizzare due sogni, ossia imparare a cavalcare e prendere lezioni di ballo con un maestro tutto per me: adoro ballare. Accanto a tutto ciò manterrò il mio impegno quale presidente dell’Associazione Spazio Aperto e continuerò a mettere a disposizione le mie conoscenze in ambito finanziario per alcune istituzioni no profit, sempre a titolo di volontariato. Per le mie amicizie e per la mia famiglia ci sarà ancora più tempo a disposizione.
Signora Petraglio, come vogliamo concludere questa intervista?
Dicendo che ringrazio il Dipartimento Sanità e Socialità. Ho sempre amato molto il mio lavoro anche grazie alle persone che mi hanno circondato. Ho trovato anche il modo di poter fare quello che volevo nel senso che ho messo a frutto appieno le mie capacità e non mi sono mai sentita mortificata. Nel corso del tempo ho variato e ampliato notevolmente le mie competenze e posso solo esserne soddisfatta. Questa per me non è una conclusione ma un nuovo inizio, per me è sempre stato difficile separare il lavoro dalla vita privata. Le relazioni che ho costruito continueranno e devo dire che ho stretto dei legami fortissimi soprattutto con i miei colleghi del servizio ambulanza. All’inizio della mia carriera avevo il terrore di rispondere al telefono ed ora, la telefonata alla quale nessuno sa rispondere, viene girata su di me e questo mi rende orgogliosa. Ora non ho una risposta per tutto, ma so dove andare a cercare. NOTA BIOGRAFICA Nata il 10 febbraio 1957, esperta diplomata in finanza e controlling, ha studiato Lettere Moderne all’Università di Pavia. Ha lavorato per il Dipartimento della Sanità e della Socialità dal 1976 al 1982 e poi dal 2000. È stata docente di contabilità in vari ordini di scuola, responsabile amministrativa dell’Associazione Comunità familiare e dell’OTAF di Sorengo. Ha lavorato anche per la Confederazione, nell’ambito di progetti gestiti dalla Cooperazione internazionale in Albania, Bulgaria e Romania per la formazione di quadri nella gestione ospedaliera. Attualmente è la responsabile dell’Area di gestione sanitaria del Canton Ticino.
NOTA BIOGRAFICA
Nata il 10 febbraio 1957, esperta diplomata in finanza e controlling, ha studiato Lettere Moderne all’Università di Pavia. Ha lavorato per il Dipartimento della Sanità e della Socialità dal 1976 al 1982 e poi dal 2000. È stata docente di contabilità in vari ordini di scuola, responsabile amministrativa dell’Associazione Comunità familiare e dell’OTAF di Sorengo. Ha lavorato anche per la Confederazione, nell’ambito di progetti gestiti dalla Cooperazione internazionale in Albania, Bulgaria e Romania per la formazione di quadri nella gestione ospedaliera. Attualmente è la responsabile dell’Area di gestione sanitaria del Canton Ticino.